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La pericolosità di un cuoricino

Libero Gentili • ago 26, 2023

I rapporti con i nostri simili, gli esseri umani, sono talmente vari e diversificati che se ogni volta che ci esprimiamo attraverso il linguaggio o ciò che lo sostituisce appieno, la scrittura, venissero registrati accuratamente avremmo a disposizione un ventaglio di atteggiamenti così controversi e contrastanti tra loro, che ne resteremmo veramente stupiti.


Descartes, agli inizi del 1600 considerò il linguaggio come un aspetto creativo, appropriato alle situazioni che si creano di volta, in volta e tale da evocare pensieri negli altri come se fossero i propri; in sostanza una qualità che ci distingue nettamente da tutti gli altri ospiti del regno animale: la comunicazione.
E’ proprio questa che ci distingue da una tartaruga, da un millepiedi, da uno scimpanzé; la capacità di parlare e scrivere, di apprezzare l’arte e a volte, purtroppo, di innescare un genocidio.

Se prendessimo un essere umano e lo spogliassimo completamente, privandolo della parola e costringendolo a esprimersi per mezzo di grugniti, potremmo benissimo collocarlo in una gabbia di scimpanzé senza notare una grossa differenza; uno scimpanzé poco peloso capace di camminare su due gambe.


La differenza tra i nostri geni e quella degli scimpanzé è piccola, ma in sé talmente grande da aver costruito due mondi immensamente lontani tra loro, non dal punto di vista del regno animale, del quale facciamo parte anche noi umani, ma da quello della comprensione, della cultura, della capacità di associarsi non in greggi, ma in società altamente strutturate, che Cartesio definì con il termine Res cogitans.


Questo ci appare talmente scontato e ovvio, senza peraltro rendercene conto, quando ogni volta, in preda all’ira, vogliamo denigrare una persona, un interlocutore, affibbiandogli l’attributo di “animale”.
Quindi, come umani, disponiamo di un solo strumento per la nostra continua evoluzione: l’aspetto creativo del linguaggio e di ciò che ne deriva, il pensiero.


La globalizzazione, altra caratteristica che gli animali non potranno mai sperare di raggiungere, ha trasformato e, per alcuni versi, allargato la capacità comunicativa del linguaggio non solo con la creazione di nuove fraseologie, ma anche e soprattutto con l’introduzione di neologismi.

Oggi possiamo viaggiare liberamente in gran parte del mondo; all’interno del nostro paese non incontriamo restrizioni e per varcare il confine di uno stato possiamo munirci di un semplice visto.
Incontriamo migliaia di sconosciuti senza neanche farci caso in quanto fanno parte della quotidianità senza riflettere, però, che in quasi tutto il mondo per millenni è stato qualcosa di impensabile e in certi paesi ancora lo è, e con questa affermazione piano, piano, mi avvicino all’argomento della mia chiacchierata.


Tutto questo è stato possibile e, speriamo lo sia ancora, per merito del linguaggio, così come lo conosciamo.
Poi, all’improvviso, nel 2015, si verificava un evento davvero notevole.
L'
emoji, espressione che oramai anche i bambini conoscono, nota come "Faccia con lacrime di gioia", veniva scelta dall'Oxford Dictionary, uno dei dizionari più prestigiosi del mondo, come "Parola dell'anno".
Sì, la "parola dell'anno" era un'emoji, in particolare l'emoji "faccia con lacrime di gioia".


In un post sul blog, Oxford Dictionaries affermava: "😂 è stata scelta come la “parola” che meglio rifletteva l'etica, l'umore e le preoccupazioni del 2015."

Non era una parola, era in effetti un pittogramma che, da lì a poco, avrebbe pienamente sostituito una frase di senso compiuto.   
Incredibilmente, la scelta non raccolse lamentele significative, proteste o polemiche da parte dei guardiani dell'alfabetizzazione, cioè accademici, insegnanti, puristi della lingua e così via.
Ma questo fu un evento sbalorditivo che presagiva un vero e proprio cambiamento di paradigma nelle comunicazioni umane e persino nella coscienza umana.


In pochi anni Internet ha portato a nuove forme di scrittura e alfabetizzazione. Secondo una ricerca condotta dalla Oxford University Press e dal business della tecnologia mobile, SwiftKey, la "Faccina con lacrime di gioia" costituiva oltre il 20% di tutte le emoji utilizzate in Gran Bretagna nel 2015 e il 17% di quelle usate negli Stati Uniti.

Le emoji stanno, infatti, diventando sempre più popolari in tutto il mondo, consentendo a persone provenienti da diversi background linguistici e culturali di comunicare e interagire tra loro in modo più concreto, rendendo così possibile facilitare le comunicazioni interculturali, trascendendo le barriere delimitate da scritture specifiche e le ideologie sociopolitiche implicite che comportavano.
Ma non per alcuni paesi arabi, a quanto pare.


In un'inaspettata svolta legale in Kuwait e Arabia Saudita, il semplice atto di inviare un'emoji del cuore a una ragazza può ora portare a gravi conseguenze legali.
L’atto verrà considerato istigazione alla depravazione e punito secondo la legge.
Secondo le leggi di entrambi i paesi, si ritiene che questi segni di affetto incitino alla dissolutezza e alle molestie, crimini che comportano multe e carcere.
L'esperta legale kuwaitiana
Haya Al Shalahi ha recentemente avvertito che i colpevoli potrebbero affrontare fino a due anni di carcere e una multa di 6.499 dollari USA.

Un esperto saudita di criminalità informatica ha inoltre chiarito che in Arabia Saudita, l'invio di emoji con il cuoricino rosso su WhatsApp potrebbe essere considerato una "molestia", sottolineando che "alcune immagini ed espressioni durante le conversazioni online possono trasformarsi in un crimine di molestia, se una causa viene intentata dalla parte lesa".
Gli individui condannati per questo reato potrebbero subire una pena detentiva che varia da due a cinque anni, oltre a una multa di 100.000
riyal sauditi.


La prima cosa che viene in mente è come una consuetudine oramai consolidata, quello cioè di una tecnologia che adopera scorciatoie ben definite come l’uso di pittogrammi utilizzati in tutto il resto del mondo al posto di una frase, possa essere considerato come una istigazione alla depravazione.
Chiaramente si tratta di un altro salto nelle epoche buie tanto care a certe religioni.


Ci sono ovvie differenze tra il mondo moderno e l’antichità legata alla religione, quando non alla metafisica, e non siamo così ingenui da credere che lo studio del passato ci fornirà soluzioni semplici, direttamente trasferibili al presente.
Nella tecnologia non c’è nulla di religioso o metafisico, bensì una necessità quanto più urgente di controllare tutto ciò che abbiamo intorno, per salvarci dall’ignoto.
E c’è il bisogno di acquisire potenza, una spinta che coincide con la stessa forma della specie, quella umana per distinguerla, appunto, da quella animale; punto sul quale mi sono soffermato all’inizio di questa chiacchierata.


La modernità è un vero e proprio salto di civilizzazione che purtroppo – e lo vediamo dalle cronache quotidiane – non ha corrispondenti né in Asia, né in Africa, né ancor meno nell’Islam.
Da quella parte non si scorge nessuna importante operazione di significativa revisione culturale.
Si cerca di accettare compromessi tattici accogliendo solo qualche pezzo dell’Occidente, come la sua economia, ma cercando di tenerne altri a bada, come la laicità e l’uguaglianza tra i generi.


Un autore al quale sono affezionato e che mi ha sempre aiutato a decodificare certi aspetti apparentemente enigmatici in riflessioni geopolitiche è Samuel Huntington, in particolar modo con il suo saggio “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”.
Un libro contestato da critici istrioni i quali vedevano e vedono tuttora lo scontro tra le potenze mondiali per la supremazia esclusivamente come una guerra di potenza economica e militare.


Oggi i conflitti mondiali, se li sappiamo interpretare cercando di guardare qualche centimetro oltre il naso, sono per lo più dovuti a quello che questo grande autore sintetizza nella frase conclusiva del sui libro: “Nell’epoca che ci apprestiamo a vivere, gli scontri tra civiltà rappresentano la più grave minaccia alla pace mondiale, e un ordine internazionale basato sulle civiltà è la migliore protezione dal pericolo di una guerra mondiale”.

E nella civiltà è compreso il complesso delle strutture sociali, culturali e soprattutto religiose di una società.

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